Storia di una tradizione
Perla dell'Emilia
L’Aceto Balsamico Tradizionale è unico e inimitabile, la sua produzione è circoscritta in un ristrettissimo fazzoletto di terra emiliana, entro i confini della Provincia di Modena escludendo i territori appenninici… Siamo nel cuore degli antichi Domini Estensi a cui sono legate tanti racconti di questo prodotto della tradizione la cui storia è avvolta nell’inebriante buchet di leggenda, tradizione orale e poca documentazione.
Fin dai tempi più antichi la storia è ricca prodotti ad esso assimilabili: mosti e aceti variamente miscelati fanno la loro comparsa già attorno al 4000 a.C. Grazie ai Babilonesi. Questi ultimi, attraverso la fermentazione di datteri, fichi, albicocche ricavavano un aceto che usavano sia come condimenti sia per la conservazione dei cibi.
Avvicinandoci geograficamente e sulla linea del tempo non esistono documenti che certifichino con esattezza il periodo ed il luogo in cui l’Aceto Balsamico Tradizionale si sia originato ma certo è che la spirale bibliografica si sposta tra Ferrara e Reggio Emilia, per poi fare capolino a Modena dove nel 1598 venne trasferita la Corte Ducale Estense
Gli Estensi degustarono e fecero proprio l’ Aceto Balsamico ancorando definitivamente questo prodotto alla città e alle tradizioni della città di Modena: un gioiello dalla lavorazione pregiata frutto di tecniche non più casuali.
L’aggettivo “balsamico” venne usato per la prima volta negli inventari della regina estense a Modena nel 1747, probabilmente con riferimento al suo uso terapeutico.
La diffusione dell’Aceto Balsamico nelle case dei modenesi si deve ai francesi che nel 1796, dopo aver occupato Modena, smantellarono le acetaie ducali, vendendo i barili alle famiglie più abbienti della città. Solo dopo il 1815 si riuscì a ricostruire parzialmente l’acetaia ducale. Da qui in poi si assiste ad una proliferazione di documentazione in merito all’Aceto Balsamico Tradizionale.
Terminato il periodo dell’invasione francese, l’acetaia ducale fu visitata nel 1859 dal sovrano Vittorio Emanuele II e dal primo Ministro Camillo Benso Conte di Cavour. Quest’ultimo fece poi trasferire le botti migliori a Moncalieri, dove le scarse conoscenze tecniche di conduzione di un’acetaia e la distanza dal territorio di origine, portarono presto al deperimento del prezioso prodotto.
Da questo periodo in poi si susseguono dettagliati documenti storici che ne descrivono la produzione.
In questa prima fase le prime dinastie di produttori, seppur con il comune denominatore della tradizione, avevano ciascuna la propria ricetta e la propria peculiarità e si parlava di balsamici modenesi. Solamente nel 1967 con la nascita della “Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena” viene riconosciuta una metodologia di produzione comune, scritta utilizzando come base la lettera dell’ Avvocato Agazzotti, indirizzata all’amico Avvocato Fabriani, in cui spiega dettagliatamente l’antico metodo produttivo.
La “Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena” definisce inoltre una serie di parametri che devono essere rispettati, sebbene come richiesto dalla tradizione sia lasciato un adeguato margine di libertà ai produttori per garantire a ciascuno la possibilità di caratterizzare il proprio prodotto.